Un’altra solitudine
Pubblicato: agosto 30, 2008 Archiviato in: Uncategorized | Tags: cose che succedono in giro, libri, solitudine 14 commenti
Il mio Corto per il Corriere della Sera esce sabato 13 settembre in allegato a Io Donna. Per ragioni di spazio ho dovuto tagliarne qualche pagina..la posterò qui, più avanti.
PS Ovviamente, la quarta non me la sono scritta da sola…e neanche mi sono disegnata quelle guanciotte rubizze.
Libri
Pubblicato: agosto 18, 2008 Archiviato in: Uncategorized | Tags: citazioni, libri, privato 20 commentiReinhard Jirgl
Un tempo, era così anche per me. Adesso non lo so più. Certe volte, le pagine stampate mi sembrano più fredde della morte. Il mondo chiede di essere toccato, prima che letto.
Il dolore degli altri- Tbilisi, Georgia
Pubblicato: agosto 14, 2008 Archiviato in: Uncategorized | Tags: corpo, cose che succedono in giro, Fotografia 5 commentiGrembiuli da casa, pantofole di pezza, foulards legati sulla testa, un bastone posato accanto, espressioni attonite o disperate. Le mani di queste due anziane sedute sulla soglia di una casa, a Tbilisi. Mani grandi, segnate dal lavoro, dall’artrite e dalla vecchiaia. Mani che hanno lavorato tutta la vita, mai ferme, sempre a fare, cucire, cucinare, pulire, tirar fuori patate dai campi e bambini dalle pance, mani più da schiaffi che da carezze si direbbe a vederle così, ma chissà poi che dolcezza, invece. Mani che adesso, di fronte alla sciagura, non sanno più che cosa fare e restano lì, ingombranti che non si sa dove metterle, impossibili da nascondere, goffe a stringere un gomito, a tormentare il viso, a chiudere forte la bocca per non mettersi a urlare, di dolore o di rabbia.
Cosa c’è in queste immagini (dalla galleria fotografica Georgia, la tragedia degli sfollati, Repubblica) che mi urta tanto? Che urtica, scortica, fa male? Oltre le ovvie pena ed empatia nei confronti di queste persone: anziani, donne e bambini trascinati fuori dalle loro case, fuori dalle loro vite. Dietro questa prima pelle, ce n’è un’altra e poi un’altra ancora. Strati di motivazioni, di emozioni, di domande che prudono come scabbia. Ad esempio: a cosa servono queste foto? (A cosa servono tutte le fotografie di guerra)? A dire ancora una volta che la guerra, qualsiasi guerra è brutta? A farci sentire buoni, capaci di pietas? Servono a fomentare l’odio per un nemico? A nutrire il nostro voyeurismo? Sfoglio quel saggio spiazzante di Susan Sontag che continuo a rileggere e nel quale non trovo nessuna risposta, solo altre domande. Chi sono i noi a cui queste immagini scioccanti sono indirizzate? Quel noi dovrebbe includere non soltanto i simpatizzanti di una piccola nazione o di un popolo privo di Stato che lotta per la propria vita, ma anche il gruppo ben più nutrito di chi si preoccupa, non foss’altro che a parole, di una qualche terribile guerra in corso in un altro paese. Le fotografie sono un mezzo per rendere "reali" ( o più reali) situazioni che i privilegiati, o quanti semplicemente non corrono alcun pericolo, preferirebbero forse ignorare.
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri
E poi penso ai reporters, alla faccia tosta – Coraggio? Fede nell’utilità proprio lavoro?- che ci vuole a scendere per le strade di una città messa a ferro e fuoco e puntare l’obiettivo sui volti, sulla disperazione altrui, per portare a casa un servizio.
PS. Queste tre fotografie sono tratte dalla galleria di Repubblica e non sono firmate, è indicata solo l’agenzia: Ansa per le prime due, Reuters per la terza.
PS2 Dietro l’Ossezia, lo scontro tra USA e Russia, di Carlo Benedetti, qui.
Dentro una storia
Pubblicato: agosto 4, 2008 Archiviato in: Uncategorized | Tags: racconti, scrivere, storie 2 commentiLei era da sola. Una signora anziana, con un cappellino bianco e un costume da bagno intero che le scivolava su una spalla e lasciava scoperto un piccolo seno bianco da ragazza. Stava seduta su una roccia in riva al mare e raccoglieva sassi e conchiglie dentro una busta di plastica. Il marito era in piedi sotto il sole a qualche metro di distanza, l’ombrellone in mano, la borsa con gli asciugamani a tracolla. Paziente, la aspettava. Lei ha detto, su questa spiaggia ci ho passato l’infanzia. Ero piccola quando mi hanno portata lì. E ha indicato un punto nascosto da qualche parte dietro la pineta. Lì, era un orfanatrofio estivo. Una colonia per bambini poveri e soli, in riva al mare. Adesso è un albergo. Anche adesso che vivo lontano, che da tanto tempo mi sono sposata e vivo in un’altra città, al nord, torno qui tutte le estati. A casa, ho una parete tutta mia e non permetto a nessuno di toccarla. C’è uno scaffale con bicchieri pieni di sassi e di conchiglie, ci sono le sculture di legno buttate a riva dalle onde, c’è anche una rete da pesca. Quella parete, è il mio mare.
Loro erano in quattro. Una mamma e i suoi tre bambini. Uno piccolissimo su un passeggino e gli altri due aggrappati al manubrio, uno da una parte e uno dall’altra. E la sorellina ha chiesto al fratellino: ma il mare poi finisce? E lui ha risposto no che non finisce, l’acqua non finisce mai. E la mamma si è passata un avambraccio sulla fronte per asciugare il sudore, ha sistemato il bavaglino al più piccolo e ha ricominciato con la storia dei ghiacciai e della pioggia e insomma alla fine ha concluso, tranquilli, no che non finisce. E a quel punto erano arrivati in cima alla scogliera e i bambini hanno spalancato la bocca da quanto era immenso l’orizzonte e quanta acqua c’era.
E tutti quanti, un giorno, forse si ritroveranno dentro una storia. Un racconto, un romanzo. Chi lo sa.
Confusioni a Bologna, Italia*
Pubblicato: agosto 3, 2008 Archiviato in: Uncategorized | Tags: cose che succedono in giro, migrazione, territorio 6 commentiAltre cose interessanti sul tema, scritte anche da quelli che stanno dall’altra parte della strada, si possono trovare, spesso tra le righe, sul blog Asfalto in diretta dal laboratorio informatico del Centro Diurno di Bologna.