L’abbandono (chi va e chi viene)

Qualche anno fa collaboravo con una trasmissione di Rai radio Due che si chiamava Atlantis dove raccontavo piccole storie. Questo è un pezzo – credo del 2003 – che mi torna sempre in mente a ogni ritorno del mese di agosto. Che io vedo nero, come l’Agosto nero* della poesia di Derek Walcott, e del mio omonimo racconto**, anche se non piove. Quest’anno, per non smentirsi, la stagione degli abbandoni si è portata già via il vecchio Primo e la gatta Rina. 

 

L’estate è la stagione degli abbandoni. La gente abbandona le case per andare in vacanza. Abbandona le piante a morire sui balconi. E le case abbandonate, con persiane e tapparelle serrate e le citta deserte, a me mettono sempre una grandissima tristezza. La gente che parte, anche se non la conosco, fa sentire abbandonata anche me. In agosto, mi mancano persino i camion, quelli che fanno sussultare la trasversale di pianura di fianco a casa mia. Mi commuovo per gli animali abbandonati dalle famiglie in partenza per le vacanze: pesci rossi giù per il gabinetto, volatili lasciati liberi nei parchi pubblici, cani legati in autostrada e gatti slanciati dentro un campo. E’ spesso d’estate che ci abbandonano gli anziani. E’ adesso che ci ha abbandonato Timmy, un amico cane che è peggiorato proprio con il caldo e che ha passato le sue ultime giornate davanti a un ventilatore acceso e si è addormentato tra le braccia del suo padrone. E’ in questi giorni che una mamma gatta ha abbandonato i suoi gattini nel giardino del mio amico Carlo Lucarelli che si è armato di biberon, latte in polvere per cuccioli e lozione antipulci e si sveglia ogni due ore per far fare la poppata agli orfani che ha adottato. Tutti questi abbandoni estivi mi fanno soffrire e così provo a ribaltare questa parola, abbandono e pensarla nell’altra sua accezione: non essere abbandonati da qualcosa o qualcuno, ma abbandonarsi a qualcosa o qualcuno, e penso a quello che scriveva Marguerite Duras del corpo delle donne che si abbandona ai figli e si fa calpestare, mangiare, risucchiare. Penso a Kierkegaard, che nell’abbandono femminile vedeva il carattere essenziale della donna, il suo dono più prezioso: la capacità appunto di abbandonarsi e di trovare così la felicità. “Una donna che è felice senza abbandono, cioé senza abbandonare il suo io, a qualunque cosa lo abbandoni, non è assolutamente donna”. Ora, io non so se avesse ragione o se invece ciò che scriveva non potesse essere riferito in egual modo pure agli uomini.

Chiunque è infelice se viene abbandonato e d’altra parte, chi può essere felice senza abbandonarsi?

 

 

* Dark August, Mappa del nuovo mondo, Adelphi 1992

https://genrivista.wordpress.com/2012/03/15/mappa-del-nuovo-mondo-la-grande-poesia-epica-di-derek-walcott/

** Agosto nero, In tutti i sensi come l’amore, Einaudi 1999.