La paura vien leggendo

rami

VENERDI’ 30 OTTOBRE
dalle ore 21,30 / Russi, Ex Macello, Via Vecchia Godo

ASPETTANDO HALLOWEEN
serata in noir: musica, letture, convivio

LA PAURA VIEN LEGGENDO
Pagine da brivido scelte, lette e commentate da:
Eraldo Baldini, Deborah Gambetta, Carlo Lucarelli, Giampiero Rigosi, Simona Vinci.

CHI L’HA DETTO CHE NON C’È IL NOIR IN DIALETTO ?
«Incursioni recitate» in romagnolo di Giuseppe Bellosi.

«WISHLIST» IN CONCERTO
Musiche dall’Emilia-Romagna all’Irlanda.

BUFFET A TEMA
Stuzzichini, dolci e bevande per rincuorarsi.


Maestri

 “Gli unici maestri che hai sono i maestri che accetti, che scegli. Dunque, il maestro sei sempre tu.”
Pierre Levy, Il fuoco liberatore


Domani vado in Sicilia, a Palermo, per Il Mondello Giovani. (Io sono un senior writer, mi sa, per i ragazzi che incontrerò). Venerdì c’è questo incontro dedicato ai ‘Maestri’. Non è che mi siano state date indicazioni troppo precise, per cui ho immaginato che ciascuno dei partecipanti si costruirà il suo personalissimo percorso. E’ da settimane che mi arrovello, perché ‘sta cosa dei ‘Maestri’ a me non è che sia mai andata giù del tutto. La posizione dell’allieva mi è sempre stata stretta. Non ho mai sopportato che qualcuno si mettesse in cattedra e mi spiegasse com’è che va la vita, com’è che si fanno le cose, e quando e perché, e giù di dettagli e prescrizioni. Mi sono sempre scrollata di dosso tutto quello che non mi serviva, trattenendo degli insegnamenti solo quello che sentivo di poter integrare alla mia ricerca che procedeva solitaria. Un sacco di errori e di tempo perso, lo ammetto, ma io è così che ho sempre imparato e imparo. Altrimenti, zero. Guardando indietro alla mia storia però, oggi, quelli che sono stati i miei ‘Maestri’ li riconosco. Li ho incontrati nei libri. Li incontrati nei fotogrammi di un film, a teatro, in un dipinto o in una fotografia. Ma li ho incontrati anche per strada, nei bar, in un campo, su uno scoglio a strapiombo sul mare. Qualcuno poi -si contano sulle dita di una mano, questi- l’ho incontrato nei luoghi canonici in cui si incontrano i maestri: nelle aule di un’università, per esempio. E mi è venuto in mente che gli avevo scritto una lettera, a questi maestri, tanti anni fa.

Questa.

      UNA LETTERA AI MAESTRI

                     

Nei miei sogni di quando avevo 13 anni, il Maestro aveva il viso segnato di Herman Hesse. Avevo una sua foto nel diario e la guardavo ogni giorno. Pensavo che il primo giorno di liceo lo avrei trovato lì, dietro una cattedra di legno massiccio, con la pipa in mano e gli occhi scintillanti. Rughe ai lati della bocca che non riuscissero a spegnere il sorriso. Immaginavo che mi avrebbe scelta tra tutti come l’allieva preferita, che avremmo parlato di letteratura, che i personaggi dei romanzi sarebbero stati un ponte tra me e lui, che mi avrebbe regalato un’eredità di frasi, sistemi filosofici e  mondi sconosciuti. La notte, mi addomentavo pensando che la monotonia della scuola media che stavo per lasciare sarebbe svanita come uno sbuffo di fumo. Al suo posto, una cartografia in rilievo, colorata di verde, azzurro e giallo, con i corsi d’acqua palpitanti e aguzze montagne con le punte bianche. Dentro il paesaggio ci sarebbero stati uomini e cose, tutti da scoprire e imparare. Il primo giorno, chi ci fosse dietro quella cattedra non lo ricordo più. E nemmeno quelli che sono venuti dopo, ricordo. Tutto quello che mi resta è una sensazione di paura, le mani fredde e sudate, l’aula con i soffitti alti e sporchi, il mondo grigio fuori dalle finestre. Tante testine allineate, libri sui banchi e l’autorità sulla cattedra. Non ho imparato niente. Non volevo imparare niente. Mi  sono trascinata lungo gli anni del liceo come una zattera in alto mare. Cercando di sopravvivere senza riuscirci mica tanto bene. I professori sono sfilati davati a me come ombre ghignanti. Sapevano solo mettermi paura. Ma non abbastanza da  costringermi poi a studiare. Mi hanno punita. Mi hanno punita così tante volte che credevo sarei rimasta al Liceo Ginnasio Luigi Galvani di Bologna -sì, il Liceo di Pier Paolo Pasolini- per tutta la vita. Fino a quando i capelli non mi fossero diventati bianchi. Io leggevo Jack London, Henry Miller, Marguerite Duras, Arthur Rimbaud e Paul Eluard chiusa nel bagno con il caffè e le sigarette a portata di mano. Posso uscire per favore? E poi mi perdevo nelle pagine del libro che avevo nascosto sotto il maglione. Non potevo studiare. Non volevo. Mi obbligavano a farlo con la paura. Avevo immaginato che studiare fosse conoscere e invece studiare era lottare contro la violenza. Mi sono difesa con l’indifferenza. Io volevo scrivere e loro volevano le formule imparate a memoria e i temini introduzione-svolgimento-conclusione. Volevo essere un personaggio da romanzo, volevo un professore che sapesse chi ero, cosa sognavo, quali erano i miei turbamenti, qualcuno che sapesse tirare fuori il meglio da me e dalle mie passioni. Avevo avuto una maestra così, alle elementari. (Si chiamava, si chiama, Vanda Salmi). Ero stata una bambina violenta, diffidente e solitaria e lei mi aveva regalato un giardino segreto tutto per me: i libri. Dalla piccola biblioteca  di classe si poteva prendere in prestito un  libro alla settimana e lei lasciava che io ne prendessi quanti ne volevo. Era dolce, la mia maestra, ma anche severa. Ironica e piena di passione. Ci faceva parlare di politica, ci spiegava le cose come se fossimo degli adulti. E invece, questi che avevo davanti ora  ripetevano le lezioni con aria turpe o indifferente, si vedeva che tutto quello che contava per loro era che i genitori degli studenti tramandassero la leggenda che la loro sezione era la più dura tutte. Il metro era questo: la severità. La difficoltà. Intanto, fuori dalle aule il mondo cambiava come cambia di continuo e noi lì dentro non ne avevamo quasi sentore. L’aria era ferma da decenni dentro quella scuola. Non c’era la passione della mia maestra, la Vanda che mi regalava i libri al compleanno. Li ho odiati tutti e non ho paura di dirlo. Loro lo sanno. Tutti tranne uno. Un professore di storia e filosofia che fumava come un turco e aveva sempre gli occhi stropicciati dal sonno, i capelli svolazzanti sulla testa. Lo trovavo bellissimo. (Si chiamava, si chiama, Domenico Giusti). C’è sempre, credo, un professore di filosofia a salvarti. Quel poco che ho imparato al liceo l’ho imparato da lui. Da lui che interrogava gli studenti quando volevano e lasciandoli seduti ai banchi. Da lui che parlava e parlava camminando per la stanza, affacciandosi alla finestra. Da lui che pretendeva che capissimo, non che imparassimo a memoria. Ho imparato da lui perché aveva fascino. Perché mi piaceva, perché aveva talento per fare l’insegnante, perché ci rispettava, e con questo conquistava il nostro, di  rispetto. Quando finalmente sono riuscita ad approdare all’ università, mi sono sentita libera. In mezzo a centinaia di altri studenti sconosciuti. E mi sono innamorata dei miei professori e ne ho amato davvero qualcuno. Nel buio delle mattine invernali partivo dal mio paese con la corriera per arrivare in tempo alle lezioni di Filologia Romanza e sognavo la Provenza e i versi delle poesie mi risuonavano in testa bellissimi e dolci. Poi è comparso il professore di Letteratura Italiana. (Si chiamava, si chiama, Ezio Raimondi). Alto e snello, giovane nei suoi quasi settant’anni di allora. Lo sognavo di notte. Sognavo la sua voce, le sue parole. E mi segnavo tutti i libri che nominava sul quaderno. Avevo di nuovo il mio  giardino segreto. Con me camminavano Leopardi e Merlau Ponty, Montale e Marcabru, Dante Alighieri e Walter Benjamin, Rabelais e Dashiel Hammett. Non avevano paura  di incontrarsi solo perché non erano inseriti nello stesso programma ministeriale. Discutevano e si scazzottavano tutti assieme. Bevevano vino e scrivevano. I loro libri erano porte aperte sul mondo, porte che lasciavano entrare aria fresca e idee, l’odore delle stagioni della storia e le emozioni. E chi mi guidava dentro questo giardino era un Professore con il Dono e altri con del talento. Nessuno di loro mi ha mai chiamata per nome, nessuno di loro ha mai saputo niente di me, però avevano rispetto delle mie idee, mi lasciavano la libertà di saltare alcune cose e aggiungerne altre, mi permettevano di seguire il mio filo rosso guidandomi solo se deviavo troppo. L’amore non è finito. Me lo porto dentro e anche se  non l’ho mai espresso a parole so che loro sanno. Sanno che tra tutti  gli studenti che hanno avuto, anno dopo anno, davanti, ce n’è sempre qualcuno che uscirà cambiato dalle loro aule; qualcuno che continuerà a leggere perché loro gli hanno insegnato come si fa. Qualcuno di loro, magari, scriverà. A me è successo.                                                                                                                                                                                                                                      

Mi porto un libro di John Berger, Modi di vedere. Perché al momento è il ‘compagno di strada’ che più somiglia a un maestro. In testa, mi porto l’eco di Marguerite Duras, Samuel Beckett, Alberto Giacometti, Ingmar Bergman, Jack London, Gianni Celati, Antonio Cederna, Erik Satie, John Coltrane, Diane Arbus, William Eggleston, e tanti tantissimi altri, di alcuni dei quali non ricordo il nome e se anche lo ricordassi, sarebbe un nome che dice qualcosa solo a me e a chi li avesse conosciuti di persona. (Un giorno però, quella lista la scriverò. Perché se lo meritano, di essere ricordati.)Porto anche una mappa del centro di Palermo, perché spero di perdermi e poi di ritrovare la strada, come conviene fare quando si viaggia, e si vive.


Autumn leaves

Alcuni degli appuntamenti di questo autunno, anche se per me, dentro la testa, è ancora estate, niente rosso e oro di foglie che cadono, ma verde, blu e bianco di acqua marina.

Sabato 10 ottobre sono al Cantiere delle Parole di Bolzano: h 18.30 Biblioteca Civica, per una presentazione/reading di Nel Bianco.

Il 24 ottobre sono a Palermo per il Festival Mondello Giovani e parteciperò, insieme a Silvia Ballestra e Tommaso Pincio all’incontro "La lezione dei maestri", h 17.00, Galleria d’Arte Moderna Sant’Anna.

Il 25 ottobre sono a Volpiano, Torino, per il festival I luoghi delle parole, h 17.30, con un reading da Nel bianco.