Azione Sp3 – Come si fa a cambiare senza perdersi?

uale delle due donne è Vera?    Quale delle due vite è vera? Quale delle due donne è Vera?
vera brucia il passato
Una delle due guarda il suo passato che brucia.

lei porta la luceL’altra porta la luce.

La terza arriva alla fine, e parla in prima persona.

Questa quiete sospesa.
La paura, a un passo.

Il buio, a un passo.
Il cratere fumante, a un passo.
Lo stagno torbido, a un passo.
Il coltello, il sonnifero, a un passo.

Io resto così: le spalle al passato, la fronte al futuro, le gambe nel presente, la testa dappertutto.
Il cuore, qui.

Come si fa a cambiare senza perdersi?


Voglio ringraziare quelle cento -o centocinquanta? Quanti eravate?! Era una processione, un fiume…- persone che hanno accettato di farsi condurre nel buio. Che hanno camminato in silenzio lungo una strada in costruzione, nella nostra campagna distrutta, tra fuochi, esplosioni, camion e parole a tre voci.

Quelle cento e passa persone che hanno accettato, per una notte, e poi chissà, di perdersi insieme a noi.

*Grazie al SIFest e al Comune di Savignano che hanno reso possibile questa ‘azione’ notturna. Grazie a Fabio Biondi, a Nicoletta Fabbri, a Chiara Cicognani, a Stefano Bisulli e a Pier Paolo Paolizzi. E poi grazie a Alberto Guiducci e a tutti quelli – compresi i venti giovani anziani che hanno accolto il pubblico e l’hanno ristorato- che hanno lavorato perché la ‘strada di Vera’ fosse un miracolo. E grazie a Lorenzo Conte. Che nonostante la febbre era lì, e ha ripreso.

6 commenti on “Azione Sp3 – Come si fa a cambiare senza perdersi?”

  1. utente anonimo ha detto:

    grazie a te.
    chiara

  2. utente anonimo ha detto:

    grazie a te.
    nicoletta

  3. utente anonimo ha detto:

    Sembrava di essere dentro al racconto. E’ stato difficile dopo capire quale era la realtà.

  4. analkoliker ha detto:

    Da alcune settimane l’assistente sociale e la psigologa sembrano aver messo a punto una nuova modalità di colloqui: mentre parlo di me, delle mie esigenze delle paure per il futuro che ancora non si intravede, piegate sulla tastiera del compiuter cercano affannosamente di fermare in digitale i passaggi salienti dei miei racconti. Occhi puntati sul monitor e forse anche la sensazione di appartenere alla modernità, di essere entrate in possesso di un metodo rivoluzionario e moderno.
    Mi sembra quasi di vederle scodinzolare mentre schiacciano le mie faticose parole. La psicologa ha poco più di tentanni, un buon ritmo sulla tastiera, non perde un colpo, gli occhi fissi sullo schermo. Mi sento di troppo, vorrei uscire e lasciarli soli ma mi allieta la sapinte scollatura del Taierino da manager e mentre lei flerta col Pc io mi concedo una lunga escursione nella camicietta.
    Chissa quanto guadagna? Ha un contratto a tempo indeterminato? A cosa pensa quando le parlo. Forse la poverina è assunta con un contratto a tempo determinato oppure uno a progetto.
    Se così fosse, io in questo monento rappresento il suo progetto, ed ho la netta sensazione che questo non la entusiasmi affatto.
    Certo che sono messo bene.

  5. maso_ ha detto:

    un saluto che è da tanto che non mi faccio sentire… dell’UMARELL non si sa niente

  6. analkoliker ha detto:

    Saffo, Benni, Pennak e Don Milani

    ( Parle rubate)

    All’età si sette anni in un pallosissimo pomeriggio d’estate decisi che da grande avrei fatto il giornaliasta. Corsi da subito Morena per metterla al corrente della mia nuova decisione, Morena era una giovane educatrice del colleggio, andava sempre in giro con una Fiat 126 color verde pisello accompagnata da un Mastino Napoletano che ha me appariva come un enorme dinosauro con la targhetta ed il collare.
    Ascoltò con attenzione e poi mi disse che se da grande avessi voluto fare il giornalista dovevo cominciare a ribaltare le mie abitudini: studiare, essere disciplinato , non malmenare i compagni  a tutte le ore e senza preavviso e soprattutto non mandare affanculo adulti e insegnanti.
    Dovetti promettere, ma in cuor mio sapevo che sarei riuscito a conciliare entrambe le cose, così alcuni giorni dopo cominciai a studia il mestiere del giornalista con Morena in cattredra che passa il tempo ad inchiodarmi su verbi ed analisi grammatilale, analisi logica e disciplina. Dopo due lezioni torno alla mia antica passione fin quando nove anni dopo mi capitano fra le mani le poesie di Saffo.
    Non c’era parole per descriverne la bellezza , le aveva prese tutte lei e così smisi di scrivere poesie e comprai una chitarra.
    Di leggere non se ne parlava assolutamente, le parole si spostavano continuamente sul foglio e mi toccava rincorrerle continuamente, gran mali di testa, nausea ed effetto sbronza che mi sdoppiava le immagini.
    Qualche anno dopo guardando la tivù scoprii che ero stato un bambino dislessico in un epoca in cui gli insegnanti distinguevano a malapena gli alunni dai loro banchi.
    Leggere ad alta voce in classe era una vera umiliazione, in terza media leggevo come un bambino di quarta elementare. Cominciai ad avere il fondato sospetto di essere solo un ragazzo violento e ignorante, poi mi tornarono alla mente le parole di una supplente della quinta elementare che dopo l’ennesimo pestaggio a danno dei bulletti delle altre classi mi disse: “ Stefano se da grande farai il bandito sarai il capo dei banditi. Però, guarda se riesci a fare di meglio, io ne sono convinta”. Era troppo simpatica per non avere ragione, dunque nella rinnovata convinzione di essere un ragazzo intelligente attesi pazientemente di incontrare il mio talento e cominciai a guardarmi intorno.
    A quattordici anni rubo la mia prima automobile e due dopo sono in questura con mamma in lacrime che mi massacra di schiaffioni e con l’appuntato che sorridendo mi invita a cambiare strada e a studiare se non voglio finire in galera. Se non ci finisco con la mamma penso di poterlo sopportare.
    E chiaro che le automobili non sono il mio talento ed allora passo a rubare biciclette, motorini, fungoncini. Gli altri della banda passano presto  a scippi borseggiamenti e qualche anno dopo alle rapine, ma io mi fermo molto prima, sull’angolo fra via Sant’Ottavio e Corso Regina. Ero appostato quando Angelo mi indica la vittima dello scippo : “ Stefano è come toccare il culo alle ragazze quando corri in mezzo alla folla, solo che questa volta le devi strappare la borsetta”. Quel giorno avevo capito che non sarei mai finito in galera e che non sarei diventato il capo di nessuna banda, perché quel gioco non poteva diventare violenza a danno di una signora anziana che poteva essere mia nonna.
    Mi restavano comunque il piacere di sbatacchiare a calci, pugni e sputi i bulletti che se la prendevano con i più deboli, ho sempre e solo pestato bulletti.
    A vent’anni finalmente riesco a prendere il diploma di terza media presentandomi da privatista dopo due tentativi fallimentari alle serali.
    Dei miei talenti solo alcune ombre, da anni gli amici si aspettano che prima o poi io faccia il salto di qualità. Verso, dove e per che cosa nessuno riesce ad immaginarlo ma tutti attendono fiduciosi.
    Con gli anni si fa strada il dubbio che il mio destino sia quello dell’eterna promessa. Morire mentre tutti attendevano ancora l’esplosione di qualche talento. Che delusione.
    Arriva il primo amore, le prime pippette, le delusioni e la prima grande depressione.
    Sono i giorni di Don Milani e di “Lettera a una professoressa”, dall’incontro con Saffo sono passati molti anni e questo libro sembra fatto per dare speranza, i problemi con la lettura restano, non riesco ad andare oltre la terza pagina e con grande fatica. Per molti mesi lo avrò sempre appresso sotto il braccio, in mano o nello zaino, pronto per essere aperto a caso per farmi rasserenare, per finire col tempo a fare da zeppa al tavolo della cucina e non perché abbia smesso di amarlo, tutt’altro. Un libro così bello sa stare ovunque e sa fare bene anche la zeppa. Un libro che non ho cercato poi per anni, non ne sentivo il bisogno, mi bastava sapere che da qualche parte fosse ancora scritto.
    In quello che appare essere un abisso di ignoranza mantengo ancora oggi l’abitudine di memorizzare continuamente parole nuove, di curare il linguaggio che sin da giovanissimo avevo compreso essere potere e libertà. Avevo sempre con me un quaderno e quando sentivo una parola nuova me la appuntavo e poi me la facevo raccontare dai grandi, capitava persino che lo facessi davanti alla televisione o alla radio. Sulla copertina del quaderno avevo  scritto “ Parole Rubate”.
    E’ forse proprio la cura del linguaggio che negli anni aveva fatto di me una promessa e dunque se talento vi era andava ricercato nell’universo delle parole. Nulla, la promessa aveva sempre più il sapore dell’eternità

    Arrivano, l’alcol, un filo di eroina, la chitarra presa e abbandonata più volte e poi l’hiv e la decisione di viaggiare in bicicletta. Don Milani è un antico ricordo, credo fossero passati vent’anni e nel frattempo ogni libro non andava oltre la decima pagina, in tutto.
    Il secondo anno di viaggio un amico mi cosiglia di leggere Stefano Benni. Bello Benni, ma io che da bambino volevo fare il giornalista mi sento una merda, inoltre da quando sono partito in bicicletta ho cominciato a redigere un diario che in cuor mio vorrei diventasse un libro. Qui rischia di finire come con Saffo e abbandono la lettura. Poi arriva Pennak, un genio della parola e del racconto, se vado oltre la settima pagina finisce che  smetto di scrivere e devo cercarmi un lavoro. Abbandono Pennak Daniel in una cabina telefonica in provincia di Siena e continuo a pedalare, scrivere raccontare e rubare parole.
    Cazzo questi scrivono benissimo, ci campano degnamente, li leggo e loro mi stroncano? E’ troppo.


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