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…La creazione artistica è per me un modo di conquistare una tale conoscenza di sé, della propria vita, da doverla trasformare, una ‘confrontazione’ immediata. Credo che le mie  pièces funzionino come la psicoanalisi: nell’analisi, quando una persona parla all’interno di uno ‘spazio ideale’, prima o poi le cose importanti vengono dette. Allo stesso modo, i personaggi dei miei drammi si muovono sempre verso se stessi
”.
Lars Norén, Citato in: Janzon, L., “Samtal med Lars Norén”,  Entré, nr 1, 1982, pp. 24; 26.

L’atto dello scrivere è per Norén una necessità imprescindibile, lo strofinare una ferita costantemente aperta che ha nome infanzia e crescita. La scrittura si è fatta rituale, scongiuro contro il passato”.
un critico teatrale (Ring L.) su Lars Norén

Dentro una stanza chiusa (un teatro?), sdraiati su un lettino oppure faccia a faccia con qualcuno; in mezzo a una strada, tra centinaia di persone o nella solitudine di un paesaggio desolato: in ogni caso, ci si muove verso se stessi. Anche quando si crede – ci si convince- di fuggire, dissolversi e sciogliersi nelle storie degli ‘altri’, nel ‘mondo’. Il mondo è ‘io’. Il mondo è ‘te stesso’. Comunque, è sempre di questo, che si tratta: conquistare una conoscenza di sé.


8 commenti on “”

  1. DeceasedSun ha detto:

    solo che ogni tanto vorresti arrivare a destinazione.

  2. utente anonimo ha detto:

    e quindi che cosa significa scrivere se non fare autobiografia? è sempre – e soltanto – così. in ogni caso. anche quando non se ne è coscienti. e non ha a che fare con la verità o la menzogna (mi riferisco a quel tuo commento sul fatto che una sola volta hai usato IO e quella volta hai sentito di mentire). uno perché è un argomento filosofico troppo complesso. due perché la letteratura non insegue la verità. non più di quanto la insegua ogni essere umano (anche non “letterato”), almeno.

    ros

  3. utente anonimo ha detto:

    lieve svenire
    per sempre persi dentro di noi
    come cantava Godano spesso a corto di voce…
    e non si dovrebbe indulgere troppo nell’accarezzare il proprio gelido e analitico yin, perchè lo sguardo abbraccia anche altri colori e alla lunga non è un atteggiamento salutare, conoscersi non è crogiolarsi nelle proprie debolezze.
    In too deep, i can’t touch the bottom! inutile vertigine.Dàje ros, condivido.

  4. utente anonimo ha detto:

    “ora sono lieve, ora volo, ora vedo me sotto di me, ora tramite me danza un dio”.
    Così parlò Zarathustra

    la sensazione è lieve.ma la parola chiave è “oltre.più in alto.più in là”.nella versione di ferretti però.
    la preferisco a quella dei marlene.

    le parole non sono mai nostre.ma degli altri.quando le parliamo.allora si.sono per noi.

    “certuni non sanno sciogliere le proprie catene.eppure sanno essere liberatori per l’amico.
    sei uno schiavo?allora non puoi essere amico.
    sei un tiranno?allora non puoi avere amici”.

    Credo che il nostro nietzsche ci offra una buona metafora del mestiere dello scrittore..
    c

  5. japa ha detto:

    ultimo commento non anonimo.sono una idiot del blog.

    japa.for zarathustra.ma in modo lieve

  6. ghiaccioblu ha detto:

    sì, Ros, ‘argomento filosofico troppo complesso’, infatti non ho una risposta, giro attorno alla questione e le uniche cose che mi pare di poter dire è che somigliano a un koan sono:
    si scrive sempre di sé/non si scrive mai di sé
    e
    tutto è autobiografia/niente è autobiografia

    per citare Rimbaud, “io è un altro”.
    sì, è un’interrogazione infinita…
    sulla verità, non saprei, altro tema infinito… anche se a me pare che la inseguiamo, nella letteratura come nella vita, anche se raggiungerla è impossibile…un movimento continuo e continuamente frustrato, ma è proprio in quel movimento, forse, che la verità ogni tanto appare…

    s.

  7. MaxKlinger ha detto:

    Vediamo di trovare una buona metafora. Perché l’esistenza, nella sua modalità autentica, possiede in primo luogo una connotazione metaforica. Quanto a dire che essa si produce nella congiunzione “semantica” di mondi disparati, di biografie senza epilogo e narrazioni prodotte su sensi contigui, che, talvolta, annullano ogni distanza tra chi legge e chi scrive. Ma quella stessa distanza, che ciascuno tenta di estinguere rispetto al Mondo e che quotidianamente sperimenta riguardo a sé, è la condizione di ogni congiungimento metaforico. La “parola chiara”, l’oggettività di senso – questo improbabile Senso del Tutto – si risolve in un dettato ipnotico ch’è il naufragio stesso dell’ex-sistere, vale a dire della mozione creativa, che non è una prolusione alla vita, come il semplice parto, ma il senso originario, sia pure indistinto, del nostro essere nel mondo. E se nella metafora l’esistenza ritrova la propria tematizzazione retorica – che la rende esule da ogni pretesa oggettivante – chi narra dovrebbe riconoscere come la vita stia non nella parola “incisa”, “chiara”, ma nella parentesi, nel corsivo, nel virgolettato e, in generale, in quelle figure d’interpunzione che prendono congedo dalla letteralità, impedendo ad ogni parola di imporsi come ultima. Perché autentica è soltanto l’esistenza in cui non sia ancora detta l’ultima parola.

    (Scusate, non ricordo più cosa volessi dire).

  8. MaxKlinger ha detto:

    TRADUZIòUN

    Vdém ad truvè ‘na bona metàfra. Parché la vìda, int’la su fòurma auténtica, l’ha prima’d tot una connotaziòun metafòrga. E vo’ di’ ch’l’è com la congiunziòun “semantica” ad mònd dispare’, ad biografi’ senza e’ finèl e stòri ch’i s’asarméia e che, d’al vòlti, la fa che stéga un po’ piò da près chi che scròiv e chi che lèz. Parò, la disténza ch’la zénta la n’vò de Mond e che tòt i de’, invìzi, la sperimenta da la su persòuna, l’è la cundiziòun neceséria par fe’tòt i congiungimòint metaforici pusébli, tòt quèi ch’us po’pansé. La parola chièra ch’la n’s’mét in discusiòun , l’oggettività ad sèns – st’imprubèbli Sèns d’e Tot – us asarmeia m’un ipnotizzamòint, ch’lè c’me muròi, com la fin d’la creatività. E la creatività la n’è com una introduziòun ma la vìda, c’me putréb es parturòi; l’è e séns prinzipèl d’e nost sté_m’e_mònd. E se int’la metafra la vìda l’artrova e’ propri significhé retòric – e par quest la n’ha nisùna vòia da es ugètivéda – chi che scòr (e l’è, ancoùra ‘na vòlta, un scòr metaforic) duvréb arcnòs che la vìda la n’sta int’la parola “sculpìda”, imparèda una vòlta par tot, ma int’al parentesi, int’e’ cursìv e, generalmòint, in tot al figùri d’interpunziòun ch’al permét ad di’ una roba par un’énta, dimodoché una paròla la n’s’po pansé com s’la fos la ùtma. Parché l’è bona snò la vida duvò la n’è stéda dèta l’ùtma parola.


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